Flusso teso, azzeramento degli sprechi, just in time: concetti noti alle grandi realtà dell’automotive e delle aziende fortemente industrializzate, ma come viene affrontata oggi la sfida dell’innovazione nel campo della moda?
Parlo per la mia esperienza personale in un calzaturificio di un noto brand, il quale quotidianamente si trova a dover rispondere a due domande cruciali: come rispondere alla crescente varietà di prodotti richiesti dal mercato, con cicli di vita sempre più brevi ed esigenze pronte in ogni momento a vere e proprie inversioni di rotta? Come conciliare un know how prettamente artigianale con il mercato di massa e la riduzione del time to market?
L’esperienza personale mi insegna che per queste realtà il vero fulcro innovativo oggi sta nel modello organizzativo: la classica catena di montaggio, seppur adattata all’ambito tessile o calzaturiero, non funziona più, non riesce a dimostrarsi efficace in un mondo che cambia tanto velocemente. Negli ultimi anni ho assistito ad una vera e propria rivoluzione del concetto di azienda, partendo da una struttura rigida in cui l’operatore specializzato lavora il pezzo per una parte del processo e lo passa al successivo addetto, altrettanto specializzato, ad una conformazione sempre più aperta. Oggi mi trovo di fronte ad isole produttive separate per gruppi di lavorazione, dimensionate anche giornalmente in base alla domanda e tra cui il prodotto fluisce in base al suo ciclo specifico: potremmo cambiare articolo domani e basterebbe semplicemente rivalutare il percorso del bene in base al processo che serve per realizzarlo. Occorre che le informazioni fluiscano velocemente per poter permettere a tutte le parti in gioco di effettuare i cambiamenti di propria competenza: piani di formazione, cambi di layout, variazioni dei bilanciamenti di linea attuati.
La grande variabilità dei mix produttivi richiesti, l’affinamento del senso critico del cliente, implicano infatti non solo un minor tempo disponibile per industrializzare e realizzare un prodotto, ma anche maggiore complessità e ricercatezza del prodotto finito. Conseguenza diretta sono cicli di lavoro sempre nuovi, materiali mai lavorati in precedenza, approvvigionamento di accessori e semilavorati complessi. Non potremmo mai essere efficienti, tempestivi, produttivi, se non avessimo alla base una struttura flessibile in grado di supportare anche le improvvise sterzate del mercato. Il problema del lead time è sicuramente tra quelli a cui siamo più sensibili. I lotti di lavoro sono in costante diminuzione: un reparto specifico, da giugno ad oggi, ha visto ridurre la numerosità dei suoi lotti del 90% e stravolgere il proprio layout con costanti modifiche in base alle richieste (e ridurre grazie a questo del 50% il proprio lead time ).
La vera innovazione osservata nella realtà industriale che vivo non è tanto, ormai è chiaro, nella tecnologia, che pure è importante e dà il suo contributo, quanto nella flessibilità delle risorse disponibili. Assisto quotidianamente ad un processo di cambiamento che si allontana dalla specializzazione dei compiti, per dar vita ad un “superoperatore” in grado, nella sua versione più estrema, di realizzare per intero il prodotto. Questo implica che ciascuna risorsa debba avere piena coscienza e consapevolezza dell’intero processo, nonché dei macchinari usati, i quali devono essere velocemente settati per cambiamenti frequenti di necessità.
Di pari passo, ovviamente, avviene lo stesso in tutti i reparti a staff: è necessaria una piena consapevolezza dell’intero processo per poter apportare davvero un valore aggiunto. Questo comporta, nel nostro caso, che figure con ruoli differenti siano fisicamente negli stessi uffici, che vengano effettuate riunioni quotidiane tra i referenti di ogni area, che ciascuno abbia in ogni momento chiaro che la comunicazione e la collaborazione sono fondamentali. Ciascuno di noi sa che domani potrebbe occuparsi di un’attività non prettamente di sua competenza, ma che è utile ad allargare la propria visione d’insieme: non è raro che un ingegnere gestionale si occupi per un periodo di tempi e metodi per poi passare alla pianificazione della produzione, senza dimenticare un periodo di formazione nella logistica.
Certo non si può prescindere da un certo sviluppo tecnologico, volto tuttavia non a sostituire l’uomo nelle attività a valore aggiunto, quanto piuttosto nel facilitare e velocizzare il processo nei punti a maggiore spreco: spostamenti, movimentazioni di semilavorati, prodotto finito e carichi. Una macchina da cucire, per quanto automatizzata, necessiterà sempre di un esperto operatore che la guidi. Perfino le più avanzate cucitrici automatiche e programmabili, che pure vengono sfruttate per produzioni di massa, possono eseguire solo particolari tipi di cucitura, mentre la restante parte delle lavorazioni rimane appannaggio di coloro che svolgono questo lavoro da anni, le uniche in grado di trasformare davvero pezzi di pelle in una scarpa finita.
Da “addetta ai lavori” la sensazione è di essere in un vortice in continuo cambiamento, in cui non è concessa pausa o si rischia di venire travolti, ma la fatica è certamente compensata dalla consapevolezza che tutti contribuiamo a realizzare nel minor tempo e nel miglior modo possibile un oggetto che a tutti gli effetti si può definire artigianale, curato, bello.
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