Contesto

Ormai è trascorso un anno da quando per la prima volta negli Stati Uniti si è sentito parlare di “Great Resignation”, espressione utilizzata per indicare l’importante fenomeno di abbandono volontario del posto di lavoro, iniziato dall’avvento della pandemia. Una tendenza divenuta ormai globale che riflette i cambiamenti epocali e generazionali in atto nel mondo lavorativo.

Epocali perché talmente profondi e radicali, oltre che radicati, nelle istanze e nelle premesse, da costituire un vero e proprio giro di boa che rimette in discussione modalità, rapporti, assetti e strutture di interi settori, segnando una ben definita linea di demarcazione tra il pre e il post pandemia verso un punto di non ritorno, anche se in realtà la pandemia ha soltanto funto da detonatore di una situazione già da tempo innescata.

Generazionali perché stimolati in gran parte dai Millennials e dalla Generazione Z, sempre più sensibili a valori quali benessere, dignità, opportunità, crescita, rispetto, sostenibilità e pronti dunque a rivendicarne il diritto attraverso nuovi criteri di scambio.

Premessa

Trattandosi di un fenomeno di massa le grandi dimissioni destano preoccupazione e impongono alle aziende di analizzare quelle che sono le cause e i protagonisti di una scelta che resta, comunque, non sempre facile, ma che, al tempo stesso, proprio perché rischiosa, si rivela sintomo di grande disagio e difficoltà. Un indicatore interessante in questo senso è il fatto che molti di coloro che hanno rassegnato le dimissioni nell’ultimo anno lo hanno fatto senza avere prima in vista un nuovo impiego, quindi ponendosi di fatto in una situazione del tutto nuova e incerta. Le motivazioni sono diverse, ma le più significative si inscrivono nella consapevolezza di dover salvaguardare la propria stabilità e salute mentale di fronte al rischio o al verificarsi di burnout e, di conseguenza, di voler conquistare e tutelare un ottimale equilibrio tra vita e lavoro. Segue la necessità di senso di appartenenza a una specifica realtà lavorativa attraverso sia l’individuazione di valori in essa che coincidano con i propri e sia attraverso relazioni e approcci tra leader e colleghi che rinforzino stima, fiducia e considerazione in un ambiente culturalmente inclusivo. Si aggiungono poi la voglia di fare nuove esperienze, l’ambizione di migliorare la propria condizione lavorativa e costruirsi una carriera, e di seguire, anche nel percorso lavorativo, una strada che nutra i propri interessi e coinvolga le proprie passioni: i giovani, è bene ricordarlo, sono investiti da quella che si definisce la Yolo Economy (You only live once) che li motiva a seguire maggiormente le proprie inclinazioni e i propri sogni. La possibilità di coltivare tutte queste rivendicazioni è nata da profondi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro di moltissimi settori e dall’avvento, di conseguenza, di nuovi profili e opportunità che, dalla tecnologia e dai nuovi bisogni di una società in fermento, hanno ricevuto un forte impulso.

Un po’ di numeri

La Great Resignation è stata oggetto di molte indagini e grazie ad esse possiamo quantificare la portata del fenomeno e tastarne il polso. Il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti registra che l’agosto scorso sono stati 4,6 milioni i lavoratori che hanno volontariamente lasciato il posto di lavoro.

Una ricerca McKinsey, condotta tra Stati Uniti, Canada, Australia e Singapore, rivela che nei prossimi mesi circa il 40% dei lavoratori a livello mondiale è orientato a cambiare lavoro, mentre il 53% dei datori di lavoro afferma di avere un turnover maggiore rispetto al passato e il 63% di essi crede fermamente che tale tendenza non si esaurirà nel breve periodo. È del 36%, inoltre, la parte di lavoratori che rivela di aver lasciato il posto di lavoro senza avere già una valida alternativa.

In Italia, attraverso uno studio dell’AIDP (Associazione Italiana Direzione Personale), si apprende che è di circa il 60 % la fetta di aziende toccata dalle dimissioni volontarie di giovani e si tratta di aziende appartenenti per lo più ai settori Informatico-Digitale (32%), Marketing e Commerciale (27%), Produzione (28%). Il periodo in cui si è registrato l’incremento maggiore di dimissioni volontarie è stato aprile-giugno 2021 e per la prima volta dopo molto tempo, la quota di abbandono volontario del posto di lavoro sul totale degli occupati ha toccato il 2%.

Uno studio della società di software HR per piccole e medie imprese, la Personio con base in Germania, condotto nel febbraio 2022 su un campione di 5000 dipendenti e 1205 decisori HR appartenenti a PMI di tutta Europa, conferma le tendenze suddette: il 46% dei dipendenti si propone di cercare un nuovo impiego nei prossimi 12 mesi con motivazioni che spaziano tra condizioni stressanti, insoddisfazioni di carriera, frustrazioni e scarsa considerazione sul posto di lavoro. In Italia tale indagine ha riguardato circa 500 dipendenti e 120 decisori e le percentuali si rispecchiano perfettamente in quelle registrate a livello europeo.

Dalla Great Resignation alla Great Attraction

I numeri citati sono allarmanti per molte realtà produttive che ora più che mai necessitano di professionalità e competenze che possano aiutarle a restare in pista e a migliorare le proprie performance dopo la bufera, per altro non ancora terminata del tutto.

Quali accorgimenti si possono valutare dunque al fine di arginare il fenomeno? Ancora una volta è McKinsey che rintraccia le possibili strategie di risposta, dopo aver valutato attentamente quelle che ne sono le cause:

  • Compensi e vantaggi: non ripensare soltanto alle retribuzioni, ma anche a quelli che potrebbero essere i vantaggi che i dipendenti reputano importanti in un ritrovato equilibrio tra vita professionale e vita privata. Rivalutare le retribuzioni standard rispetto a maggiori servizi a garanzia di tutela della propria salute mentale, di maggiore autonomia organizzativa e dunque maggiore flessibilità per meglio gestire entrambe le sfere, potrebbe essere una strada percorribile e utile.
  • Creare luoghi di lavoro appetibili: ascoltare i dipendenti, anticipare e affrontare le loro preoccupazioni, promuovere la sicurezza psicologica e il senso di comunità, misurando i risultati. Utile in questo senso potrebbe essere condurre periodiche indagini tra i dipendenti su ciò che caratterizza la loro permanenza all’interno dell’azienda, al fine di individuare criticità, desideri e possibili miglioramenti per ciascuno di essi. La riflessione fondamentale da fare è quella in base alla quale, una volta raggiunta la soglia di retribuzione desiderata, un dipendente potrebbe reputare di valore altre cose nella valutazione di un posto di lavoro e ognuna di esse potrebbe giocare un ruolo determinante in fase di accettazione o rifiuto di un’offerta.
  • Ampliare i criteri di scelta dei candidati: molte aziende sono ferme a criteri ormai obsoleti nella ricerca dei candidati ideali perché non tengono conto del continuo e repentino cambiamento del panorama formativo e di contesti sempre più fluidi che aprono strade a profili fino ad allora non considerati standard. Studenti, dipendenti che ritornerebbero volentieri, ma a condizioni diverse, persone che non stanno cercando attivamente perché magari costrette a prendersi una pausa durante la pandemia, ma che si rimetterebbero volentieri in pista, sono tutti potenziali talenti latenti che, secondo i calcoli McKinsey ammonterebbero a circa 23 milioni di persone. Reclutare talenti latenti richiede un cambiamento di approccio: abbandonare le vecchie piattaforme di ricerca online e ricorrere alle reti locali pensando in maniera creativa a strategie nuove di contatto, oltre che rivalutare anche le competenze interne al fine di individuare tra i dipendenti stessi chi può rispondere delle nuove esigenze aziendali.
  • Fidelizzare i dipendenti: focalizzarsi non solo sull’assunzione e sull’appetibilità della propria offerta, ma anche impegnarsi nel mantenerla interessante e appagante al fine di creare una attiva e coinvolta organizzazione, importante per tutti e in cui tutti possano riconoscersi.
  • Formare: investire nella formazione dei dipendenti e dei nuovi assunti per valorizzarne e aumentarne le competenze, utili alla loro crescita professionale e personale all’interno dell’azienda e utili all’azienda come fondamentale risorsa su cui contare. La formazione è sempre un investimento sicuro.

Questi i principi fondamentali per invertire la tendenza e trasformare l’esodo di massa in attrattiva e rinnovata voglia di rimettersi in gioco con entusiasmo e coinvolgimento. Questo è il momento giusto per reclutare talenti e competenze importanti: un ulteriore momento in cui volgere una crisi in opportunità e fare della Great Resignation il trampolino di lancio per la Great Attraction.

Scritto da Anna Minutillo

Foto di mohamed Hassan da Pixabay


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