Un anno fa ci trovavamo a fronteggiare quella che è stata definita una della più grandi crisi socio economiche dalla Seconda Guerra Mondiale. Dopo 12 mesi, nonostante non sia ancora finita, possiamo tentare di delineare ciò che ha significato e significa la pandemia per le imprese, ma soprattutto ciò che d’ora in avanti, stimolato dalla crisi, è destinato a restare. Parliamo di stimolo perché è un dato di fatto che ogni momento difficile, ogni rottura implica, ad un certo punto, la necessità di reagire, reinventarsi, riadattarsi: ognuna di queste azioni è un’opportunità. A volte i grandi cambiamenti fanno paura, restano una possibilità assediata dai troppi dubbi e in alcuni casi si attuano solo perché costretti dalle circostanze. Nell’ultimo anno si può affermare di aver assistito ad una situazione di questo tipo. Il fenomeno che si sta dibattendo e analizzando in questo senso lo si definisce “New Normal”, espressione con la quale si indica la nuova normalità, cioè abitudini, metodologie, organizzazione e pratiche del tutto inconsuete che hanno guidato le aziende verso la trasformazione necessaria a fronteggiare la crisi. Ciò che però contraddistingue il “New Normal” è la tendenza dei nuovi assetti a restare e affermarsi anche in futuro come una nuova configurazione delle realtà aziendali.
Un aspetto interessante da questo punto di vista si sviluppa nell’ambito delle risorse umane interessate da nuove dinamiche di gestione che, in qualche modo, cambiano la prospettiva di partenza.
Dalle Risorse Umane al People Management
Le aziende sono fatte di persone, un concetto che, già da qualche anno, si fa strada verso una nuova interpretazione del lavoro e nuove consapevolezze. La crisi pandemica ha portato a un’accelerazione di questa prospettiva: l’affermarsi del telelavoro ha fatto emergere aspetti all’interno delle dinamiche del personale, che difficilmente forse sarebbero state poste in luce nella maniera adeguata. La distanza fisica dal luogo di lavoro costringe i lavoratori a venire a patti con la propria autonomia e responsabilità nei confronti dei colleghi e dei propri compiti e costringe le aziende, a loro volta, a concedere fiducia. Dati questi presupposti ciò che risulta fondamentale consolidare è la comunicazione. Creare una rete di relazioni trasversali e virtuali è il compito dei team leader che devono ripensare a nuovi modi per stimolare il coinvolgimento compromesso, in qualche misura, dalla distanza. La direzione è quella di rendere orizzontale la partecipazione verso processi di co-creazione e confronto tra persone con diversi ruoli e mansioni, laddove la multidisciplinarietà è terreno fertile per l’intelligenza collaborativa, valori e princìpi condivisi.
Nell’ultimo anno molte aziende hanno aumentato azioni di coinvolgimento interno laddove hanno creato situazioni di aggregazione, seppur virtuale, tra dipendenti attraverso workshop e iniziative in cui il personale potesse confrontarsi su varie tematiche. Un caso interessante in questo senso è stato quello della De Longhi Group che, come descrive bene Sara Zona in un’intervista condotta da Marco Minghetti sul blog Nova100 del Il Sole 24 ore, ha attivato diverse misure:
• Puntare sulle esperienze di vita dei dipendenti laddove esse hanno costituito un valore aggiunto al profilo professionale: i genitori sono stati portati a valorizzare le loro capacità di leadership, organizzazione, time management e negoziazione intrinseci alla genitorialità;
• Si è creato un mini sito (Stay Safe, Stay Active, Stay Together) che stimolasse il personale e relative famiglie a una partecipazione attiva all’interno della comunità azienda: attraverso di esso, infatti, si sono organizzati workshop, scambi di best practices e spunti formativi professionali e personali come attività sportive e culinarie.
Investire nella cura dei dipendenti è dunque un punto fondamentale del nuovo orizzonte aziendale, anche perché si rivela una strategia capace di stimolare empatia, caratteristica a sua volta favorevole allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, altra componente importante sui luoghi di lavoro dove la comunicazione e la partecipazione a una comunità solida, sono ingredienti indispensabili. La collisione tra lavoro e vita privata che nell’ultimo anno si è creata può essere colta come opportunità per valorizzare e diffondere la cultura delle soft skills, laddove le esperienze della vita privata consentono di migliorare le performance professionali: il caso De Longhi sulla genitorialità insegna. Importante, inoltre, aiutare il personale a trovare un equilibrio tra lo spazio e il tempo del lavoro e lo spazio e il tempo della vita privata, favorendo modalità di lavoro flessibile in cui prioritari sono gli obiettivi raggiunti piuttosto che il lasso di tempo cristallizzato nel classico modulo delle 8 o 4 ore, dando vita a un modello ibrido dove l’attività la si può autonomamente organizzare tra ufficio e spazi casalinghi o di co-working, riducendo spostamenti e stress ad essi legati. Cominciare ad occuparsi di persone, più che di risorse, permette alle aziende di creare un ambiente lavorativo più vicino alle esigenze dei lavoratori, rendendo questi ultimi più motivati e proattivi.
Le trasformazioni messe in campo sin qui richiedono chiaramente cambi di mentalità e acquisizioni di competenze: altra caratteristica fondamentale del “New Normal” è la formazione continua, a partire dalla leadership che, come visto fin ora, deve rispondere a nuovissime sfide per raggiungere l’obiettivo della cosiddetta “Social Organization”, cioè di una struttura organizzativa che fa delle esperienze social e condivise un nuovo modus operandi. I nuovi assetti che si propongono guidano le aziende nella transizione, assicurando che i processi siano sempre sotto controllo, garantendo stabilità all’impresa e rendendola più competitiva, grazie alla maggior motivazione ed entusiasmo delle persone di cui è costituita.
Scritto da Anna Minutillo
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